E’ sempre eccitante capire da cosa nasce l’avventura pittorica, il bisogno di illustrare sul piano dell’espressività coloristica e segnica, realtà visive, sogni e fantasie. Si tratta senza dubbio di un percorso ideativo dalle mille rifrangenze per la ricchezza stessa delle variazioni tipologiche in cui si invera il linguaggio artistico che si articola in tutto un tessuto di segni e spesso di simbologie. Quello di Paola Marchi è un universo di immagini che si saldano ad entroterra di scorci paesaggistici, di figure e di tipi che sembrano legarsi a certe atmosfere in cui non sai se cogliere l’amore per la natura, per l’aria stessa, per la luce della propria terra, in un transfert immaginativo che parte sempre dal dato realistico per inverarsi  sul piano della fantasia e della trascrizione in chiave sintetica. La dimensione entro cui si muove la figurazione della Marchi è espressione viva di un sentimento irreversibile di amore per la sua terra, di cui coglie con indiscussa libertà ideativa e fantastica, non solo alcune certezze naturalistiche e determinate vibrazioni atmosferiche, ma anche il senso rinnovato di una riscoperta che definirei di carattere etnoantropologico. E’ come la sintesi di una realtà che appartiene alla nostra esperienza di italiani, quasi la rilettura visiva di spazi e di atmosfere che sono tipiche dei nostri centri urbani minori. Ma tutto ciò sembra accadere e realizzarsi naturaliter, perché l’artista si muove lungo i crinali dell’inventiva che rifacendosi al filone figurativo così ricco ed inesauribile, trova nella rielaborazione di una personale maniera pittorica, un proprio ritmo, un proprio modulo espressivo, senza scarti né deviazioni, perché il suo linguaggio ubbidisce all’interna logica intesa come definizione di strutture spaziali e di atmosfere capaci di mantenersi in stretta connessione con i valori cromatici.

1 marzo 2022                                                                   Calogero Cordaro

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